Un’attivista sempre in prima linea
Ciao! Mi chiamo Andrew, e sarò il conduttore di questa intervista!
Oggi diamo il benvenuto ad una nuova ospite!
Siamo felicissimi di poterla accogliere nel nostro Salotto degli Artisti.
Ma lasciamo che si presenti e ci racconti la sua storia…
Chi sei e da dove vieni?
Ciao! Sono Miriam, vengo da Bologna e ho anche origini senegalesi.
Quando hai iniziato a scrivere di genere eco fiction?
In generale ho sempre scritto, con un grande picco verso
l’adolescenza.
Per quanto riguarda l’eco fiction, per me è un genere e un’avventura relativamente nuova.
Ho iniziato a scrivere questo genere poco fa, nell’autunno del 2023.
E com’è nata la tua passione?
Hai tratto ispirazione da qualcuno in particolare?
Nello specifico, per la mia storia di genere eco fiction sono stata ispirata a
diversi eventi e situazioni di vita reale, come la comunità ecosostenibile e
totalmente autosufficiente Tinkers Bubble, dalla mia esperienza di volontariato agricolo presso Aia Santa in Toscana, da diversi mini documentari sulle civiltà indigene dell’Amazzonia e da un forte bisogno di trovare un’alternativa al vortice di carovita e sistema capitalista (a mio avviso in crisi) che ci circonda, ci stressa e da cui cerchiamo più o meno inconsciamente di distaccarci.
La tua arte è anche il tuo lavoro, oppure svolgi parallelamente un altro impiego?
La mia arte è anche il mio lavoro, e svolgo attività di contorno per sostenerla, spesso con qualche difficoltà.
Sono di base illustratrice, scrivo per alcuni blog sul web, traduco dall’inglese all’italiano e ho deciso di concentrarmi su lavori e collaborazioni in questo ambito.
Farei fatica a svolgere un lavoro non nelle mie corde.
Parlaci della storia che hai scritto, “L’avventura dei Fratelli Hopefield“.
Di cosa si tratta, e perché hai deciso di realizzarla?
“L’avventura dei Fratelli Hopefield“, nata quasi per caso per un concorso di eco fiction a cui – alla fine – non ho partecipato perché ho scoperto di essere troppo vecchia (era destinato agli under-25).
Il racconto parla di tre fratelli: Trevor, Zephyra e Clover, che vivono in un futuro post-apocalittico in cui la Crisi Climatica è un brutto ricordo vissuto dai loro nonni, la cui conseguenza più estrema, o Tipping Point, è avvenuta negli anni ’50 del 2000 toccando il pianeta terra poco prima che nascessero i loro genitori; nel loro mondo, ora, il baratto e la permacultura sono alla base della società in cui vivono. In una grande Oasi senza Capitalismo e soldi.
L’ho realizzata con la necessità di trasformare la mia Eco-ansia in qualcosa di
costruttivo e mi sono sforzata di immaginare e creare un futuro positivo, in cui le cicatrici della prima parte del secolo si fanno ancora sentire, ma nel quale la società si basa su tutt’altro, a partire dai valori e la vita quotidiana.
Direi anche che è stata una conseguenza naturale del mio impegno con Force of Nature, una community di giovani internazionale fondata dalla giovane attivista Clover Hogan, che si batte per trasformare l’eco-ansia in azione climatica, con un forte focus sul potenziale dei più giovani.
Rendendo nota la tua arte, quale è stata la risposta del tuo pubblico, e quali esperienze ne hai tratto?
Cambieresti qualcosa, a posteriori?
Avendo scelto Wattpad come piattaforma, e pubblicando la storia settimanalmente, capitolo per capitolo, mi sento molto fortunata perché la risposta del pubblico è sempre attiva e immediata.
Posso vedere quali capitoli attirano di più l’attenzione e quali “stanchino” di più chi legge, posso inviarla ad amici e ricevere feedback in poco tempo, e soprattutto capire come si posiziona il racconto in classifica, rispetto ad altri.
La nicchia di Eco Fiction su Wattpad è molto piccola e poco letta, e sono rimasta stupita dal fatto che la versione italiana sia per ora molto più letta di quella inglese (che pubblico quasi in concomitanza); e soprattutto di aver raggiunto il primo e il secondo posto in classifica per il genere #UTOPIA più volte di seguito già nelle prime settimane.
Quali sensazioni hai provato “prima” e “dopo”, dal tuo primissimo annuncio al pubblico?
Quanto influiscono le aspettative sui risultati?
Ho provato grande gioia e soddisfazione nel cliccare “pubblica!” per la
prima volta quando ho lasciato libero di esistere il prologo.
Ero veramente tesa perché da molto faticavo a farmi conoscere tramite i canali
tradizionali di pubblicazioni (gli editori) e avevo davvero troppe storie nel cassetto e un senso di pesantezza.
Non potevo né volevo permettermi che questa storia aspettasse perché, nel migliore dei casi, può essere davvero uno specchio di riflessione sulla situazione attuale.
Infatti ci sono molti riferimenti ai politici e ai “grandi” di oggi, così come a realtà alternative che oggi vengono quasi derise e isolate, ma che in un mondo il cui potenziale di un albero vale più di una banconota sarebbero in carica.
Poi, soprattutto avevo un’urgenza che ormai non sentivo più con molti altri
temi.
Cosa può essere più utile di pensare e discutere metodi, seppur conditi di Fiction, di salvare il pianeta terra e la sua biodiversità (in cui oltretutto rientriamo)?
Quale riscontro hai ricevuto dai tuoi amici, parenti e conoscenti?
Hai ricevuto, da loro, supporto e sostegno?
Sono stata molto felice del riscontro di alcuni miei amici.
Ne ho scelti 3 o 4 in particolare, a cui mandare personalmente i capitoli
ogni volta che li pubblico, come… gesto d’amore.
Quelle sono persone a cui tengo, o che hanno una particolare connessione
con la storia dei fratelli Hopefield.
In particolare un mio amico mi ha stupito, dicendomi che si rivedeva in Trevor, uno dei protagonisti e il fratello più grande. Lì per lì ho riso, ma poi ho pensato che potesse aver ragione.
Non è che avessi proiettato qualcosa di lui in Trevor? Poteva essere, soprattutto perché avevamo vissuto insieme un’esperienza OFF-GRID, e l’ho capito tramite un suo commento.
Per il resto, mi diverte e mi fa piacere che ognuno ci veda cose diverse e si concentri su dettagli diversi per ogni capitolo pubblicato.
Come hai trovato, e su quali basi hai scelto, il tuo canale di pubblicazione?
Conoscevo già Wattpad e avevo già pensato di scrivere lì, fin dal 2020, all’inizio della pandemia.
Non mi ci ero messa veramente, alla fine, perché non apprezzavo molti dei contenuti che vanno più virali lì.
Essendo a libero accesso, ci si può trovare di tutto, in senso negativo e positivo, e non volevo far parte di un mare confuso e poco controllato di contenuti.
Però, negli ultimi anni, mi è parso un po’ più curato e volto alla pubblicazione cartacea.
In più, era l’unico con una logica quasi da social o da forum, in cui è molto facile, anche per chi non è iscritto, vedere il riscontro che un certo contenuto ha, commenti e visualizzazioni totali comprese.
Allora ho deciso di lanciarmi in quello, potendo anche arricchire la storia con alcune mie piccole illustrazioni.
Qual è la parte più difficile del creare una storia di eco fiction?
La parte più difficile – ma anche stimolante – di questo tipo di creazione è il world Building.
Come succede anche per i racconti fantascientifici o distopici, bisogna costruire e simulare ogni minimo dettaglio del funzionamento di una società diversa dalla
nostra, e mettersi nei panni di chi ci vive.
Saremmo persone migliori se vivessimo in un futuro di giustizia climatica e sociale?
Ci sarebbero comunque odio o discriminazione di qualche tipo?
Soprattutto, i livelli di stress sarebbero diversi rispetto ai nostri?
Quanto contribuiscono ad esempio, i social o del tempo offline in natura alla nostra serenità mentale?
Io sono partita da queste domande e mi sono data delle risposte.
Ho preso poi un foglio di due metri e ho tracciato una linea temporale che partiva dal 2023, e precisamente dai fatti di cronaca dell’approvazione del piano di trivellamento Rosebank oil, molto contestato in UK, dal lancio del mercato dei microchip di Elon Musk per leggere la mente e dal generale caro affitti post-pandemia, perché per me simbolici della situazione attuale.
E sono arrivata al 2103, l’anno in cui è ambientata l’avventura dei fratelli Hopefield, subito dopo che l’ONUC (Organizzazione delle Nazioni Unite per il Clima, di mia invenzione) abbia dichiarato il petrolio illegale in tutto il mondo, creando un’ondata di protesta da parte degli ex capitalisti, che nel mio racconto vivono in piccole riserve.
Conosci il concetto di Burnout emotivo?
Come si supera lo sconforto originato da una diversa risposta del Mercato, nei confronti di eventuali risultati pronosticati?
Non ho idea di come si superi questa cosa! (ride, ndr)
Conosco bene il burnout perché, nel mio specifico ambito dell’illustrazione, mi ha
colpito almeno 5 volte dopo la pandemia.
Personalmente, non riuscivo proprio ad accettare con quanta lentezza e difficoltà la
mia idea di carriera e percorso artistico stessero procedendo, e non sento ancora di avere una soluzione.
Una cosa che mi ha salvata molto è pensare “a ventaglio”: come si può declinare la mia capacità artistica e il mio bisogno espressivo in altri modi?
Qual è l’aspetto migliore di questo ritardo e difficoltà nel raggiungere un pubblico, o il successo?
Da lì ho iniziato a pensare a delle soluzioni, come alla fotografia come ricerca e medium più immediato, rispetto al disegno.
Ma continuo a pensare che gli artisti e i creativi (soprattutto con percorsi di studio in Italia) non siano pronti ad affrontare la doccia fredda che è spesso la realtà e il caos del Mercato.
Cosa pensi del mercato artistico italiano contemporaneo, degli artisti che ne fanno parte e del pubblico al loro seguito?
Onestamente, penso che ci siano alcune problematiche e dinamiche “vecchie”.
Io non ero pronta (forse perché non sono fatta così) all’importanza enorme che sembra avere la conoscenza giusta della persona giusta.
Credo che ci sia un problema di fondo che poi si estende anche al mercato del lavoro italiano in generale.
Ad esempio, perché negli annunci di lavoro non è standard specificare quale sarà la retribuzione annua di una determinata posizione?
Nel mercato anglosassone non si permetterebbero neanche di pubblicare un annuncio senza questa informazione basilare.
Credo che ci sia ancora forte la tendenza a pensare che, se ti danno un lavoro, ti stiano facendo un favore, indipendentemente dalle condizioni.
Perché? Non è meglio specificare le proprie intenzioni (e anche la paga offerta) ed attirare meno candidati ma quelli giusti e più adatti a te?
Per gli artisti, infine, ci sono possibilità in Italia, ma spesso nascoste.
E con un amico di Trieste ci stiamo organizzando per cominciare a renderle più
note… per fare in modo che i più giovani abbiano più mezzi e più carte nel proprio mazzo, una volta usciti da scuola.
Cosa pensi del panorama sociale in Italia?
Credi che “l’italiano medio” sia un buon conoscitore dell’arte, oppure si potrebbe fare di meglio?
Personalmente penso che si potrebbe fare molto di più per avvicinare le persone all’arte, soprattutto quella moderna e contemporanea.
I musei esperienziali in questo sono utilissimi.
Dialogare con un’opera d’arte, sentendo quello che l’artista voleva farti sentire (tramite installazioni audio o effetti che hanno una conseguenza sulla tua emotività e sul tuo fisico) riattiva l’idea che entrare in un museo o galleria non significa rimanere immobili davanti a qualcosa che dovrebbe investirti di senso, ma che spesso non lo fa e che si ha timore di non aver capito.
Interagire con le opere d’arte, toccarle, girarci intorno, dialogarci come capita nelle mostre interattive può ricordare al visitatore medio che l’arte può parlarti e anche divertire.
A quel punto, diventerà probabilmente anche lui/lei un mezzo attivo per promuoverla, parlandone agli amici.
Come giudichi la burocrazia del mondo artistico?
Per un artista le spese sostenute, le imposte applicate, le royalties, le agevolazioni economiche, e gli aspetti fiscali a cui badare potrebbero essere più favorevoli?
Posso parlare delle royalties. Conoscendo un po’ il mondo dei libri, e soprattutto la situazione delle colleghe illustratrici e i colleghi
illustratori, comincio a pensare che ci vorrebbe una sorta di
contratto unico collettivo da poter applicare a questi professionisti.
Una paga minima o una percentuale di royalty minima garantita per legge.
Partecipando a discussioni in gruppi e forum, mi rendo conto che fioccano proposte spesso inaccettabili per quanto riguarda i libri illustrati.
La royalty per un albo illustrato scritto da altri è in genere del 5% sul prezzo di copertina, con un anticipo concordato con l’editore.
Questo anticipo dovrebbe sostentare il lavoro in progress
ed è un anticipo sulle vendite.
Solo che per tornare in pari e guadagnare sul libro post-pubblicazione si deve essere molto fortunati o affidati ad un ottimo lavoro di marketing per conto della casa editrice.
Può succedere, ma spesso non è la norma; e oltre al tempo e l’energia spesa su un progetto così grande si devono trovare altri modi per avere entrate extra.
Credo che, per lo meno quello degli albi illustrati, sia un mondo bellissimo circondato da un’aura magica e sognante, in cui però spesso ci si dimentica di trattare bene e pagare onestamente e concretamente chi le proprie capacità artistiche le mette in atto per crearlo, quel libro “magico.”
Cosa pensi dell’avanzamento tecnologico?
Temi per la tutela degli artisti umani rispetto all’intelligenza artificiale?
Oppure immagini ci possa essere una simbiosi tra questi due mondi?
L’intelligenza artificiale nella maggior parte dei settori in cui è stata introdotta è diventata subito alleata dei lavoratori umani, per velocizzarne diversi processi di lavoro e assorbirne altri mentre loro si dedicano ad altro.
Nell’ambito artistico è nata ed è stata introdotta da persone che non hanno le skill per creare arte da zero, utilizzando dataset di esempi reali ed originali di opere d’arte coperte da copyright (SENZA l’autorizzazione degli artisti) per allenare software a generare, e quindi non creare, copie ed elaborazioni di queste opere per introdursi nel mercato e creare così una concorrenza sleale e spietata basata spesso e volentieri su un furto.
Una pura… follia!
Il fatto che molti non si accorgano della gravità di questa violazione mi preoccupa ancora di più: un’immagine, se presente sul web, non è per forza libera e priva di copyright.
Un artista di questo secolo può desiderare farsi conoscere online senza il rischio
che gli venga rubato ciò che di unico e originale ha fatto. Perché c’è chi è convinto che – invece – appena un’immagine raggiunge il web sia liberamente estrapolabile e usata senza consenso?
Il rischio delle AI generative è forte ed evidente, le diverse cause legali, come quella di Getty Images contro Open AI, o quella del New York Times contro ChatGPT sono esempi lampanti.
Credo personalmente che le compagnie di AI generative siano il risultato più dannoso del mercato libero: lanciare un prodotto (testato poco e male, senza dati alla base legalmente reperiti) solo per trovare pubblico e dimostrare a futuri investitori “l’utilità” e la richiesta di questi software.
Inneggiare all’innovazione sfruttando la poca conoscenza che l’utente medio ha di questi funzionamenti, pian piano facendoci soldi e creando il caos più totale.
Ad oggi è difficilissimo farsi riconoscere un proprio diritto come artista il cui portfolio è stato utilizzato da compagnie come quella a capo di
Midjourney, che ne ha utilizzati illecitamente almeno 16000, le class actions non sono ancora prese sul serio e c’è chi utilizza Midjourney per partecipare a concorsi artistici, vincere, e pretendere pure che la propria opera, generata da terzi da un testo scritto da sé e con immagini rielaborate da altri possa essere brevettata e registrata come originale.
Follia pura, e mancanza di rispetto di chi di arte e ricerca stilistica ci ha fatto la propria vita, capendo più di tutti che il processo nel mezzo, gli errori e la gioia e le crisi che si portano dietro sono parte integrante dell’opera d’arte, non solamente il prompt e il risultato finale.
Non ci sarà mai una simbiosi tra questi due mondi finché queste compagnie alla base delle AI generative (e colpevoli della recente diseducazione all’arte) pagheranno ogni singolo artista il cui lavoro è stato sfruttato senza consenso per allenare i propri software. E finché non ci saranno delle serie e rigide regole a riguardo.
Perché togliere agli esseri umani il piacere ancestrale di esprimersi in modo creativo?
Si può sempre imparare a disegnare e scrivere: è nella natura umana! Che valore ha farlo fare ad un software sul computer?
Hai in cantiere altri progetti? Possiamo aspettarci nuove opere?
Voglio continuare a scrivere e ritrovare l’equilibrio spezzato tra ciò che mi piace davvero e ciò che può portare un po’ di soldi, indipendenza e nuove opportunità.
Sto cercando anche uno Sponsor, per tornare alla Fiera del libro di Francoforte e ri-immergermi nell’evento dell’anno del settore editoriale, con l’Italia come paese d’onore e tante anteprime da non perdersi.
Se c’è qualche appassionata/o di libri e blogger che vuole unirsi a me, si faccia avanti!
Similarmente, invito a farsi avanti a chi va di supportare questa iniziativa.
Nel frattempo, non resisto più alla tentazione di esplorare un nuovo medium, quello della fotografia analogica e farlo incontrare con l’illustrazione!
Vorresti aggiungere ancora qualcosa, per i nostri spettatori?
Direi di no, ma avendo parlato di futuri post-apocalittici di giustizia climatica, inviterei chi legge a fare una pausa e chiedervi: quanto del vostro benessere o malessere psicofisico del momento dipende effettivamente da voi?
E quanto da un sistema intricato e veloce che viene dall’esterno?
Grazie per questa intervista, Miriam.
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